Ciao amore ciao

E’ almeno la terza volta che sento, dal vivo o in video, Francesco de Gregori parlare di poesia, in termini lusinghieri peraltro, da esterno, tirandosene fuori, come se lui non fosse direttamente interessato da quelle parole. Uso il mio blog per dissentire pubblicamente. Io che sono cresciuta con le sue canzoni in sottofondo, come modello la sua incredibile fantasia e quella capacità di scrivere testi di grande spessore e di non facile interpretazione, con una musicalità senza pari. Io che ho sempre considerato Francesco de Gregori un poeta della musica. Non da solo certo ma soprattutto lui fra altri.

A Festival poi ho sempre associato atmosfere particolari, una storia tutta mia, costruita ed immaginata su quella che racconta lui. Nel grande libro dei versi ce n’è qualcuno che si finisce per amare di più non tanto e non solo per la bellezza stilistica che racchiude quanto per quello che ci si legge tra le righe. Per il modo in cui ci si sente specchiandocisi. Ebbene io da queste note e parole mi sento attraversata dentro, emozionata ogni volta come la prima che l’ho ascoltata, commossa.

E tutto ciò senza ancora un riferimento alla storia “vera”, quella di Luigi Tenco a cui la canzone è dedicata. E la faccenda si complica ulteriormente. Non tanto quella investigativa, quanto quella poetica. Per via della mia curiosità in bilico tra l’antropologia criminale e un romanticismo tipo alla fine la verità trionfa sempre, una ricerca e un’idea sull’affare Tenco me la sono fatta pure io. Ma non mi addentro, per rispetto agli esperti del mestiere e per rispetto all’artista e uomo innanzitutto.

Quale che sia la verità sulla morte di Tenco, mi sembra che il ricordo ne esca intatto ed autentico, un’immagine a metà tra lo scanzonato e l’inquieto, com’era lui. Grazie alla sua musica, alla sua abilità artistica. Sono le sue canzoni a sopravvivergli, a salvarlo restituendoli quell’integrità che lo star system non seppe garantirgli. Se l’uomo non è risparmiato la sua opera sì.

Oggi, il Festival di Sanremo docet ancora, in senso negativo ovviamente, come ripetuta garanzia di mediocrità. Ed è in buona compagnia: chiusura di teatri e librerie, licenziamenti di orchestrali e coristi dell’Opera, fuga a gambe levate di direttori d’orchestra, così come l’anno scorso l’emblematico pianto di alcuni componenti dell’orchestra sinfonica di Atene durante l’ultima esibizione, ci obbligano ad assistere ad un inesorabile e continuo attentato all’arte e alla cultura.

La storia si ripete, qualcuno sopravvive all’ingranaggio, qualcuno no. E tra i vivi non ce la passiamo meglio: il rischio vero in un panorama così desertico è la morte cerebrale. L’alternativa, quella dolcezza e quella capacità di cui parla De Gregori, di tenergli testa che è la stessa arte a riconsegnarci. Poesia nella poesia.

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Luigi Tenco – CANZONI D’AMORE

 

 

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