Recensioni eretiche

In questa sezione sono raccolte, ordinate per genere, le recensioni dei libri di Eretica Edizioni, coraggiosa e quel che un tempo si chiamava “piccola” casa editrice, che nei fatti prosegue e accresce il suo operato con forza e coerenza enormi. Crediamo profondamente, in accordo con il lavoro del nostro editore, nell’importanza di sostenere la buona editoria, quella che mette l’autore al centro, la sua espressività, l’unicità che ne caratterizza la penna come un certo stare nel mondo, scavandosi un solco. 

Crediamo anche nella condivisione delle forze, delle proposte, nel tutto che vale di più della somma dei singoli.
Crediamo soprattutto in un’idea di fare o nel fare un’idea, nel dare alle parole e ai pensieri un corpo e delle gambe su cui camminare per diventare esempio, elemento vivo, pietra di inciampo nella rincorsa forsennata del quotidiano. 

Nonostante tutto continuiamo a credere in una cultura differente, non mercificata, lontana dalle logiche del mainstream, rivolta a chi ha l’abnegazione e l’ardire di creare mondi e spazi, la pazienza e la visione per scolpire nel mucchio, il palato per distillare e assaporare bellezza. 

Siamo eretici, innanzitutto e fino in fondo. Vi aspettiamo per provare a camminare insieme su questo sentiero accidentato, sorreggendoci e dandoci impulso: siamo qui perché sappiamo di non essere soli, vi apriamo un po’del nostro cuore affinché possiate leggerne i battiti.

Grazie, buone letture!

p.s. se volete sostenere il nostro lavoro e quello della casa editrice potete acquistare i volumi cliccando sulla foto corrispondente.

QUADERNI DI POESIA

FRANGE DI INTERFERENZA – Teresa Valentina Caiati

Frange di interferenza è l ‘ultimo lavoro di Teresa Valentina Caiati, poetessa e musicista che riesce a presentarci, in una sintesi davvero eccitante, il silenzio come sfondo incandescente del reale e insieme della tracciabilità di ogni imprevisto. Una raccolta di poesie “origliate dietro le quinte” e “cantate con ostinazione clandestina”, per riprendere alcuni dei versi efficacemente condensati dell’autrice. Un libro poetico che risulta essere un pratico manuale per tentare di afferrare l’ armonia degli opposti.

Francesca Panarello

TU NON DISMETTI MAI LE COSE – Giulia Fuso

Tu non dismetti mai le cose è il secondo libro di Giulia Fuso, quello d’esordio, E dentro luccica, edito nel 2017 da Miraggi Edizioni, ha visto le sue poesie prendere letteralmente il volo per posizionarsi su blog specializzati. Questa raccolta è una metafora aggraziata e surreale della poesia: un tributo a questa forma di arte ordinaria e immaginifica, al tempo stesso, speculum dell’ umano e del creaturale, come il letto di una clochard e le formiche thailandesi. 

Francesca Panarello

ALCHIMIE DI VITA – Sofia Guidetti

Le delicate poesie di Sofia Guidetti si potrebbero definire paradossalmente poesie-manifesto. Ce ne sono di due tipi, se vogliamo raggrupparle in settori macroscopici e, in apparenza, banali: di tristi e di allegre. Le più belle e riuscite, secondo me, sono quelle allegre, dove si può sentire addirittura il richiamo di Santa Teresa di Calcutta:

“Desidera una carezza più di qualsiasi altra cosa al mondo;

desidera uno sguardo

come un bambino che piange perché ha fame;

desidera stringere una mano

come un terreno su cui non piove da mesi;

desidera amare come un pesce

che è fuori dall’acqua e vuole rientrare;

desidera abbracciare

come un girasole baciato dal sole”.

Una poesia affamata di vita e che fa venire fame di vita: questa è l’alchimia operata dall’autrice. Riuscire a trasformare l’umore di chi legge.

“Svegliarsi e dire che il sole comunque è sorto;

svegliarsi e aver paura di non essere ascoltata;

svegliarsi e credere che un giorno cambierà;

Alzati!

Tu sei il cambiamento”.

Si percepisce dietro queste poesie una teoria della vita ben definita, ottimista, solare. Anche se i momenti dolorosi ci sono per tutti:

“Cosa resta delle mie pagine?

Una scollata realtà fatta di umana precarietà”.

Stilisticamente, c’è un forte gusto per le assonanze e per le rime. Le descrizioni di quotidiane azioni e pensieri comuni lasciano di frequente spazio a frasi che spiazzano come questa (da Ponte):

“Apprezzo ogni pietra che sostiene la vita

e aiuta a varcare confini inesplorati.

Ornella Spagnulo

MURAIOLA – Francesca Panarello

In “muraiola” di Francesca Panarello la realtà e la consistenza di sapori, odori, colori e soprattutto di natura emanano da ogni verso; è in questa natura che passano gli amati per svelarsi, per ritrovare una parte di sé, poiché forse perduti. La carnalità dei sentimenti è più percepita che manifestata nella sua pienezza, la terra argillosa è un impasto amaro ma anche l’angoscia che urla “da una profondità siderale” sa scavarsi uno spazio di vita in mezzo a tanti elementi. Forse è l’autrice, grazie e attraverso i passi dei suoi versi, a compiere il suo viaggio, in parte catartico, in parte di nuova conoscenza di sé e di quel mondo intorno, che ferisce in più modi e che avvolge insieme. Al fondo, al arrivo per il lettore la sensazione è quella di aver preso parte al compimento di una grande cerimonia rivolta a ogni componente del creato, non consolatoria ma trasformativa.

Valentina Perucca

IL SENSO CHE MI FA LA PAROLA – Valentina Perucca

Alcune poesie, come alcune persone, sono generose. Si presentano sulla scena del mondo con un cenno del capo, modesto, e chiedendo il permesso di amare, lo fanno con discrezione, senza risparmiare nulla, perché amare vuol dire darsi con schiettezza a ogni cosa e a ogni persona.

“Il senso”, si chiede Perucca, il senso che “fa”, non quello che “è” o che “diventa” quando si traduce da un linguaggio all’altro. Il senso fa, anzi ci fa, ci costruisce, ci rende persone fatte di anima e ci eleva sul mondo animale dandoci l’illusione di non appartenergli più. Ma in che modo succede questo? Tramite quale mezzo? La parola.

In ebraico antico la parola che indicava l’ape, dbure, aveva radice nel termine dbr, ossia verbo, parola. Per parola si intendeva originariamente quella divina, che attraverso i testi sacri arriva a noi. L’ape era una profetessa, dobbiamo a lei il dono del linguaggio, la magia stessa del pensiero, attività che ci avvicina al divino. Ecco perché – come dice un vecchio proverbio – quando noi pensiamo Dio è felice…

La dedica che l’autrice ci ha lasciato come un indizio, nasconde ancora l’uso di quel verbo, “fare”, stavolta riferito alla poesia stessa. “A tutti quelli che fanno poesia”. Non scrivono o cantano, ma fanno. Ed ecco che il senso del titolo, la puntura dell’ape delle origini e il fare poesia diventano ciò che abbiamo davanti in questo momento: un prezioso volumetto immerso in un mare rosso senza dogmi, senza dottrine cui obbedire, né religioni o sette cui aderire, libero di pensare e di farci pensare insomma, in una parola: eretico.

L’autrice celebra la bellezza, perfino la bellezza della fine, o quella dell’infedeltà di colui che “tradiva dolcezza alla prima vista”. È dolce chi tradisce perché morso dall’ape, ma è “tremenda la bugia”, almeno fino a quando non saremo finalmente “liberati dall’amore”.

Frank Iodice

IL RESTO E’ ALBA – Rocco Saracino

La poesia di apertura colpisce il lettore per la delicatezza con cui l’autore descrive l’indescrivibile. Come spiegare i colori a un cieco? Non è la domanda che tutti gli scrittori e i poeti si pongono almeno una volta nella vita? Rocco Saracino non ha la presunzione di darci una risposta (come potrebbe?) ma una lucida visione delle cose e dell’anima che le percorre traspare dai versi, articolati, argomentati, allucinati dalla bellezza della parola stessa, una parola elegante, “tesa come una corda” oppure intinta nel “volubile inchiostro rubino”.

Le immagini proposte variano dalla notte al sogno della notte alla morte nella notte, ma in tutte ritroviamo “sigilli”, simboli che ci riportano a quei colori che non sappiamo spiegare nonostante la ricerca, la follia girovaga dei sensi mai appagati, l’angoscia, come quella di morire, o di nascere, perché non sappiamo dove siamo capitati. Ed ecco che per spiegare quei colori dobbiamo ritornare bambini e ritrovare il vero e unico linguaggio capace di descriverli.

Sono poesie discorsive, che cercano una logica, quelle di Saracino, non vogliono stupire né illudere, vogliono solo raccontare la sensazione spulciando nelle sue viscere più intime, appoggiando le “labbra schiuse su altre labbra”. E come un bocciolo che si apre, solo con la poesia le nostre labbra si schiuderanno, perché schiudere la bocca è ben diverso da aprirla, anche se il fine a volte è lo stesso. Per schiudere la bocca occorre credere nell’atto poetico di tutti i giorni.

Frank Iodice

COME UNA TIGRE – Ornella Spagnulo

Per situazioni e terminologia, ci si trova di fronte a una raccolta estremamente godibile e contemporanea. Quasi fossero monologhi teatrali, di una mente che scava a fondo dentro di sè a cercare risposte, il lettore rimane totalmente catturato da questo perpetuo “flusso di coscienza“. Temi come la gelosia, il tradimento, le maldicenze che si mescolano alla verità e portano tanta rabbia in chi le deve subire, sono argomenti che ciascuno di noi si trova ad affrontare sovente. Ecco perché si tratta di un’opera che non annoia e nella quale ci si può facilmente identificare. Proprio come una tigre (e sotto l’influenza di Prévert), l’autrice affila gli artigli per rivendicare quello che sente essere suo e mai demorde. Un “canzoniere d’amore”, come indica la quarta di copertina, originale e pieno di speranza. Consigliato.

Cristina Biolcati

ROVI – Alma Spina

Rovi” si divide in tre parti (Rovi, Fuochi, Pietre foglie), ognuna delle quali è uno sfogo dell’anima, anzi, usando un gioco di parole, potremmo dire “uno sfogo dell’Alma”. La giovane poetessa attinge a piene mani alla cultura classica da cui proviene, donando immagini e spunti che appartengono alla comune enciclopedia semiotica di tutti quelli che hanno compiuto gli stessi studi. Alcuni nominati a chiare lettere, come Narciso, la Sibilla, Ofelia, altri solo allusi, come la “virtute e canoscenza” dantesca, “verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Pavese che qui diviene “verrà la paura e avrà i tuoi occhi”, le mense insozzate da parte delle Arpie e il triplice calembour “Io Casta” che mi ha fatto venire alla mente la troppo sfortunata Giocasta. 
Le parole non sono modellate a musica, restano stoccate essenziali, quasi un lamento, un grido, ripetuto, ribadito, per questo la figura retorica più ricorrente è l’anafora, quella del triplice dantesco “per me si va”. Anche Alma ripete come una litania parole e frasi, qua e là impreziosite da un termine inconsueto, come, opliti, priego, ghenos o addirittura un hapax. Accanto a tali termini troviamo anche espressioni gergali; nella lirica dedicata a Maria di Magdala, la donna stessa dice “tengo paura”. Poi ecco tanti termini moderni, quali ferro, bulloni, autostrade.

Accanto alle citazioni classiche spuntano simboli religiosi, il Cristo compare a più riprese, soprattutto il suo corpo martoriato, la corona di spine, poiché il corpo, proprio e altrui, si fa per Alma ingombrante fardello. A volte intero, a volte sbriciolato nei nomi delle singole ossa, a volte addirittura cibo da divorare. E accanto al corpo ecco spuntare la natura, in tutte le sue sfaccettature, con piante, animali, rocce, mare, un pulsare panico e orfico che attira e spaventa a un tempo. La natura come creatura che ci riporta alla memoria il dialogo leopardiano della Natura e dell’Islandese, con quella orribile e indifferente creatura acquattata ai confini del mondo. “Sa di buono la faccia della terra”.
Queste personificazioni generano diverse metafore, quando i giorni sono esseri monchi, con ali rattrappite e zampe infangate.
E, sopra tutto questo vorticare, domina la memoria, già annunciata nel brano di prosa che fa da introduzione al tutto, dove ogni capoverso inizia con “mi ricordo”. Tanti ricordi di una bambina che ora è una giovane donna, alcuni apparentemente banali, altri capaci di segnare più a fondo un solco nell’anima. Tutto questo nello spirito di Alma messo nero su bianco da Giordano Criscuolo di Eretica edizioni.
Bello che i giovani scrivano poesie, credevo che non usasse più.

Laura Cristina Aldina Corsini

NARRATIVA

LA MECCANICA DEI SENTIMENTI – Frank Iodice

In questo libro Frank Iodice intreccia le parole, il corpo, i sentimenti, le energie e gli organi dell’umano in un equilibrio non facile che ne contempla sia i contenuti di ciascuno nelle proprie singole e quasi sempre incomprese dimensioni, sia le mescolanze che avvengono nell’incontro con l’altro e che finiscono per ingrandirne la solitudine invece che placarla. Il risultato per i protagonisti, e per noi lettori che facilmente ci riconosceremo come elementi dello stesso scenario, è quello della meccanica dei sentimenti, l’unica a cui si può ambire, l’unica in grado di dare risposte alla materia dell’amore. Quei protagonisti sono dunque tratteggiati con sapienza e maturità, irresistibili nella loro fragilità, nell’incapacità di gestire e reggere il proprio cinismo.  

Diverse le immagini di grande forza e bellezza, inconsuete per certa narrativa contemporanea “Noialtri abbiamo un linguaggio meno forbito del vostro, la mia è una ricerca basata sul funzionamento del corpo, che è nato molto prima della parola.” capace di dare il la ad una sinfonia che fin da subito ha un sentore struggente e che sarà coerente nel suo disfarsi.  

L’immagine dell’Ingranaggio, citato qua e là, è a sua volta perfetta, compiuta, poiché l’autore riesce a idearla, darle vita fin da subito ma lasciandola sullo sfondo: ecco che ad ogni pagina un pezzo, un congegno prende vita finendo per racchiudere ciascuno all’interno delle sue maglie. Anche il linguaggio del romanzo contribuisce alla dinamica: è semplice ma acuto, a tratti pungente ma non sopra le righe, un piccolo bisturi che incide la superficie delle cose, così come un tempo faceva il protagonista da medico, per svelare a poco a poco la materia più fragile e vitale.   

“Se questo mondo fosse un posto migliore, se non seguisse le regole dell’Ingranaggio, ma quelle di noi poveracci, schiacciati dalle impalcature che ci siamo costruiti sulla testa, dando loro una definizione precisa, famiglia, lavoro, passatempo, amante, ecco, se ci riuscissimo, non ci sarebbe neanche bisogno di spiegare a Eda quello che vogliamo fare. Lo capirebbe e lo accetterebbe come si accetta l’odio. Tutto ciò che noialtri facciamo in questo momento dell’evoluzione umana è dettato dall’odio e noi lo accettiamo come se non ci fossero alternative”.

Valentina Perucca

SAGGISTICA

ASSOCIAZIONE ANZIANI – ISTRUZIONI PER L’USO – Paolo Guerra

L’autore stesso definisce il suo libro “una tipica lettura da gabinetto: rapida, simpatica e senza pretese cioè il modo più rapido per prendersi una pausa”. Infatti “Associazione Anziani” si legge tutto d’un fiato, una volta incominciato non si riesce a smettere, né a non concordare con Paolo Guerra sulla curiosamente straordinaria “etologia” dell’anziano che egli traccia in queste pagine.

Una categoria che ben conosco, in biblioteca fa naturalmente gruppo a sé, dai fanatici di Clive Cussler (o di Sveva Casati Modignani) che tutti i giorni vengono a domandare se il prolifico autore abbia scritto un altro libro agli irredentisti del quotidiano, che alla fatidica domanda “sono arrivati?” fa seguire un borbottio di dissenso, perché ne manca sempre uno (di giornali) che, guarda caso, era proprio quello che, col dito ben inumidito di saliva, volevano leggere. Per questo ho preso in mano l’ABC dell’anziano di Paolo Guerra che, in capitoli ben distribuiti per argomento, offre quadretti da cabaret comico descrivendo il nonno nel suo modo di fare al supermercato, nel suo abbigliamento, con le necessarie varianti da Nord a Sud, nel procacciarsi e confezionarsi l’alimentazione. 
Paolo Guerra osserva il tutto con l’occhio disincantato del giovane di trent’anni e per di più emiliano, popolo proverbialmente capace di esaltare il lato comico delle cose, pur nascondendo sul fondo di cotanta ilarità una ferrea verità (si pensi a Bergonzoni e ai suoi monologhi che, tra una risata e l’altra, finiscono per bacchettare l’uomo e la società).

I capitoli di “Associazione Anziani” andrebbero letti ad alta voce, con un filo di accento modenese, le macchiette sono assolutamente impeccabili e all’autore si perdona qualche errore, qualche refuso rimasto annidato nel testo. Avete mai visto “Anziani” di Duilio Pizzocchi e Giuseppe Giacobazzi? Ecco, quello vi può dare un’idea di quello che si potrà trovare anche qui.
Bellissimi i disegni in bianco e nero di Alessandra Mazza che impreziosiscono qua e là le pagine. Mi sarei aspettata che Guerra affrontasse anche altri argomenti, come il fatto che gli anziani parlano sempre del tempo, sottolineando che quando erano giovani loro era sicuramente migliore, gli inverni erano inverni e le estati estati, descrivesse i turni davanti ai cantieri di quelli che a Bologna hanno ribattezzato “umarells”. Sarebbe stato interessante dedicare un capitolo alla fila dal dottore, dove i sempre fedeli over dissertano delle loro mille malattie, condividendo l’esperienza di operazioni fantasmagoriche e combattendo a colpi di farmaci miracolosi, o ai cinque euro dai medesimi elargiti al nipote con la raccomandazione “non spenderli tutti, eh?” e tanto altro. 
Di sicuro saranno tematiche di un secondo tomo, è quello che spero. Se uscirà un altro capitolo della saga me lo leggerò, come questo, dalla prima all’ultima pagina in un’unica soluzione. L’acqua fresca delle parole di “Associazione Anziani” va giù che è una meraviglia.

Laura Cristina Aldina Corsini

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