Umane geografie

Franco Arminio. Segnatelo, un nome da ricordare. Ultimamente ricorre più volte all’interno del mio curiosare un po’ ovunque. Poeta, scrittore, regista, blogger, collabora con importanti testate giornalistiche, artista dallo spiccato e attivo senso civico, mette la sua versatilità al servizio di importanti battaglie sociali e di sostenibilità ambientale.

La definizione che infatti dà di se stesso è quella di paesologo, colui che pratica la paesologia, il felice incontro tra poesia e paesaggio e l’applicazione della prima alla seconda. Certo la questione ambientale mi preme molto, perciò ritrovo Arminio di tanto in tanto e mi preme anche la questione poetica e diciamo umana in generale. E lo ritrovo anche in questo caso. La sintesi che fa di questi aspetti attraverso la sua opera non dovrebbe risultare forzata, anzi la più naturale, senza giochi di parole, al mondo.

Il binomio bellezza della natura-poesia è, o dovrebbe essere automatico, sicuro, quasi una sorta di archetipo. Una certezza nel buio. In fondo, pensandoci un attimo, si tratta di un puro e semplice ritorno alle origini, in più sensi. In quello del comporre versi: nessun grande poeta presente o passato ha potuto prescindere dal ruolo della natura per trovare talvolta o sempre, ispirazione al comporre e conforto dalle sue lacerazioni o più spesso entrambi. Da Leopardi (per citare uno dei pilastri) in avanti gli esempi si sprecano. E anche dove questa è stata matrigna più che madre, non si è stati capaci, nè si ha voluto, di farne a meno.

E nei contenuti stessi sviluppati da Arminio si ritrova anche un altro ritorno alle origini: quelle dell’essere umano nella sua essenza, di individuo che deve rimettersi alla ricerca dei propri spazi, riorganizzare i tempi e le risorse, ritrovare le responsabilità delle scelte e infine realizzare le sue capacità, il suo senso all’interno di contesti sociali a volte, e sempre di più, sprovvisti di senso. Il bandolo della matassa si ritrova tutto nelle parole stesse dell’autore: “La nostra salvezza è la poesia che ancora c’è nelle nostre terre, è questa nuova religione che ci tiene insieme, quest’antica bellezza che vogliamo proteggere e accudire.”

In particolare nel suo libro Geografia commossa dell’Italia interna, titolo che mi pare già di per sè tutto un programma, quasi da solo una poesia, l’autore racconta del suo viaggio, dentro e fuori i paesaggi e gli scenari in cui si mette in ascolto, esplora, scruta, fotografa, usa il cuore principalmente. Fa tenerezza, al di là dello stile, l’associazione tra il corpo della nostra nazione e quello degli esseri umani che incontra, il riconoscimento di una lacerazione interiore che è più sottile, che è difficoltà dell’incontrarsi, è deturpamento paesaggistico ma soprattutto umano. Ma anche la ricerca e il ritrovamento continui del valore e di una maggiore profondità di vita.

Del libro, voglio riportare questo componimento: un autentico manifesto dell’amore per l’ambiente, del downshifting, dell’ essenza.

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Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, di gente che sa fare il pane,
di gente che ama gli alberi e riconosce il vento.

Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, attenzione al sole che nasce e che muore,
attenzione ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.

Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere,
significa rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, al buio, alla luce,
alla fragilità, alla dolcezza.

(Geografia commossa dell’Italia interna – Franco Arminio)

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Franco Arminio – GEOGRAFIA COMMOSSA DELL’ITALIA INTERNA
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