Fatto trenta, fare trentuno

Mi è successa una cosa strana, insolita. Sabato sono stata al Salone del Libro di Torino e domenica ho sentito un bisogno forte di ritornarci, di rimettermi in quella calca insopportabile, di asserragliarmi di nuovo fra quattro mura riempite ovunque di libri, di sentirmi assediata dalle pagine.

Ed è strano perchè soprattutto in giornate così belle, preludio di sfolgorante estate, la sola cosa che solitamente smanio di fare è uscire, stare fuori, muovermi ed andare a ripararmi e rifocillarmi in qualche angolo di natura.

Alla fine l’uscita ha prevalso sull’entrata ma queste sensazioni mi hanno portato nuove riflessioni, ripensamenti e scuotimenti. Stare fuori invece che stare dentro, appartenere o passare soltanto di lì perchè la via è obbligata. I muri che sono dentro abbattuti da altri che trovi fuori. E intorno alla terminologia del muro si è giocato un po’ tutto il senso del Salone di quest’anno, dalla sua origine al manifesto e le parole per definirlo, ai suoi simboli.

Non dirò della bellezza e ricchezza della kermesse, del successo indiscusso che ha avuto, dell’energia che ho respirato fra gli stand grazie a questa semplice e fortissima storia di resistenza di cui non si fa che parlare ultimamente a Torino e fuori. Racconterò piuttosto di un incontro.

Partendo da qui si rianima ancora una volta Quello che Vale come frutto di un ripensamento, una ricostruzione su qualcosa che già c’era e c’è sempre stata, in qualche recondito spazio scritto e non. E in grande spolvero pre-estivo riparte dalla sua vera e propria cifra e sostanza che è il gioco di parole e tutto il mondo di immaginazione, creazione e sostegno che per me è contenuto in questa dimensione.

Maturata l’idea ecco che la vita prontamente mi fornisce l’occasione per esortarmi a muovere le chiappe e la penna – o la pagina di word – e rimettermi a scrivere sul blog. Che se inizi poi le suggestioni arrivano a iosa. Ho fatto trenta insomma, è il momento di fare trentuno, come le edizioni del Salone, guarda caso arrivata quest’anno alla trentesima: chissà cosa potremmo mai aspettarci dalla prossima.

L’incontro è quello avvenuto con Alessandro Bergonzoni durante la conferenza “Match. Letteratura vs. Arte”: a discutere e dibattere con lui Vincenzo Trione professore ordinario di arte e media, Emanuele Trevi critico letterario e scrittore e Emilio Isgrò, pittore ed artista concettuale.

Pena ripercussioni e rappresaglie dichiaro qui apertamente che io amo Bergonzoni: ne sono affascinata, rapita, ispirata ogni singola volta che lo ascolto e seguo. Cosa non facilissima peraltro data l’inondazione di parole, di stimoli, di piccole o enormi performance che è in grado di mettere in atto ad ogni esposizione, teatrale o meno che sia.

Per me rappresenta quasi un maestro, un fine cesellatore di vocaboli ed immagini, come un funambolo che si muove con perizia tra significante e significato. Oltre che un pazzoide che mi fa sbellicare dalle risate: con lui piango sempre, per quanto mi scendono le lacrime a forza di ridere.

Come dice giustamente il moderatore che riprende la parola al termine della conferenza, dopo un intervento di Bergonzoni è complicato riavviare il filo del discorso, ricominciare a parlare dicendo qualcosa di sensato e fertile. E’ così: quando ho finito di ascoltarlo mi sento ogni volta come spossata dalla bellezza, inebriata.

Di colpo mi arriva un flash della conferenza a cui ho assistito appena prima di questa, le cui argomentazioni ho trovato a tratti un po’ fragili e in cui ad un certo punto il relatore definisce il gioco di parole come qualcosa di infantile, in un’accezione dichiaratamente negativa. Non sono per nulla d’accordo. Per ma l’atto del gioco di parole è infantile nel senso positivo e pieno del termine: come primigenio, intatto, all’origine e originale, con quella pienezza e totalità di significati che solo i bambini possono avere con sè e maneggiare. Il senso che ritrovo e riscopro in Bergonzoni appunto, nel suo lavoro instancabile intorno alla parola e le immagini.

Di questa conferenza mi rimangono tantissimi spunti, un profluvio di parole come sempre, semi depositati chissà dove e che torneranno a farsi sentire a tempo debito.

Mi metto dunque fuori dalla sala e attendo che ne esca il mio uomo, nel frattempo afferro una copia del mio libro e scrivo una dedica pensata per lui: mi trema la mano. Al termine di una processione di persone che lo assediano per parlargli e scattare una foto insieme, mi avvicino e gli faccio i complimenti, gli stringo la mano, farfuglio frasi senza troppa coerenza, sono ammirata ed emozionata; lui è vulcanico con la sua semplice presenza, nello stare dov’è guardandomi negli occhi, nel considerarmi e toccarmi, trattarmi alla pari, riempirmi di pensieri, che in un istante con me che mi presto a meraviglia, si trasformano subito in quel gioco di parole.

Mi fa domande sulla poesia, da quanto tempo scrivo, si interessa a quello che dico, mi ringrazia sinceramente per il dono rammaricandosi per non avere nulla da darmi in cambio. Senza ombra di retorica gli rispondo che da lui ricevo qualcosa ogni volta che lo ascolto. Gli racconto di quella volta l’anno prima che ero stata in un cinema di Torino a vedere il suo spettacolo “Urge” a cui avrebbe dovuto intervenire anche lui che all’ultimo invece non venne per problemi personali. Di nuovo è rammaricato e quasi a scusarsi mi conferma che sì, gli era successo qualcosa di importante.

Ci facciamo una foto, va benissimo per lui purchè non sia un selfie, scambiamo ancora battute sul linguaggio, la scrittura, infine se ne va dicendomi che tornerà a Torino non prima del prossimo anno e portandosi la mano al cuore mi raccomanda di non mollare con la poesia.

Io sono stranita, più emozionata che mai, commossa dal contatto umano che Bergonzoni mi ha sempre trasmesso e che in questa occasione sento confermato in una forma quasi fisica. Il suo sguardo è carico di dolcezza che è quella che chiunque può verificare in uno qualunque dei suoi video in rete, ma qui in questo pomeriggio è tutto vero, tutta vita reale e tangibile, quella poesia magica che a saperla cercare non solo e non sempre esce in versi.

Alla prossima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Me medesima abbracciata a Bergonzoni e sostenuta nell’emozione da una copia del mio libro

 

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6 Comments

  1. Barbara

    Sempre bello leggerti, grazie per quello che ci doni raccontando di te con semplicità, spontaneità e fine ironia. Ascolta Bergonzoni: non mollare -lui riferendosi alla poesia- ….

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