Innamorato dalla Palestina
I tuoi occhi sono una spina nel cuore
lacerano, ma li adoro.
Li proteggo dal vento
e li conficco nella notte e nel dolore
cosi la sua ferita illumina le stelle,
trasforma il presente in futuro
più caro della mia anima.
Dimentico qualche tempo dopo
quando i nostri occhi si incontrano
che una volta eravamo
insieme, dietro il cancello.
Le tue parole erano una canzone
che io tentavo di cantare ancora,
ma la tribolazione si era posata
sulle fiorenti labbra.
Le tue parole come la rondine
volarono via da casa mia
volarono anche la nostra porta
e la soglia autunnale
inseguendo te,
dove si dirigono le passioni ….
I nostri specchi si sono infranti
la tristezza ha compiuto 2000 anni,
abbiamo raccolto le schegge del suono
e abbiamo imparato a piangere la patria.
La pianteremo insieme,
nel petto di una chitarra;
la suoneremo sui tetti della diaspora
alla luna sfigurata ed ai sassi.
Ma ho dimenticato,
oh tu dalla voce sconosciuta!
Ho dimenticato,
è stata la tua partenza
ad arrugginire la chitarra,
o è stato il mio silenzio?
Ti ho vista ieri al porto
viaggiatore senza provviste … senza famiglia.
Sono corso da te come un orfano
chiedendo alla saggezza degli antenati:
perché trascinare il giardino verde
in prigione, in esilio, verso il porto
se rimane, malgrado il viaggio,
l’odore del sale e dello struggimento,
sempre verde?
Ho scritto sulla mia agenda:
amo l’arancio e odio il porto,
ho aggiunto sulla mia agenda:
al porto mi fermai
la vita aveva occhi d’inverno,
avevamo le bucce dell’arancio
e dietro di me la sabbia era infinita!
Giuro, tesserò per te
un fazzoletto di ciglia
scolpirò poesie per i tuoi occhi
con parole più dolce del miele
scriverò “sei palestinese e lo rimarrai”
Palestinesi sono i tuoi occhi,
il tuo tatuaggio
Palestinesi sono il tuo nome,
i tuoi sogni
i tuoi pensieri e il tuo fazzoletto.
Palestinesi sono i tuoi piedi,
la tua forma
le tue parole e la tua voce.
Palestinese vivi, palestinese morirai.
Mahmoud Darwish (da “Innamorato dalla Palestina”)
Riporto questa poesia di un autore che non conoscevo, scoperto in una di quelle pagine dei social dove tutto è mescolato, la guerra con l’amore, per esempio. Ed ha un suo fascino. Perchè è molto umano. Perchè ci fa sentire spesso tutti più lontani ma talvolta più vicini. Per esempio quando si tenta di capire quell’amore o quella guerra. E si resta confusi.
Qui la questione è vista attraverso gli occhi di un palestinese, non mi sembra per nulla politicizzata o strumentalizzata ma solo umanizzata. Potrebbe esserci un israeliano nei suoi panni, nei suoi versi. Di essi quello che più mi ha colpito è stato “la tristezza ha compiuto 2000 anni” perchè è come se l’autore fosse stato lì per tutti quegli anni, li avesse vissuti su di sè istante per istante. Un altro esempio in cui poesia e vita si fondono insieme, non si distinguono nè tentano di farlo.
Leggendo informazioni sulla biografia di Mahmoud Darwish ho trovato una sorta di conferma: nella sua vita si sono avvicendati esilio, carcere, impossibilità di trovare una patria e allo stesso tempo tanta attività patriottica, speranza, fratellanza. Quando la coscienza individuale e civile è così alta, vivere è inevitabile ma scrivere lo è di più.
Come trovare la capacità di ridurre tanta sofferenza ad un problema minore, fino a svilire anche la prigionia: “perchè trascinare il giardino verde in prigione, in esilio, verso il porto se rimane, malgrado il viaggio, l’odore del sale e dello struggimento, sempre verde?”. Sublimato e sublime.
Per acquistare il libro contenente la poesia:
clicca su